SCUOLA SUPERIORE PRIVATA PARITARIA
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DECRETO N.2684 MIPMRI500E
IT

SCUOLA TECNICA INFORMATICA

5 novembre 2016

Copiare a scuola ostacola il vero merito di ciascuno e danneggia l’intera riuscita dell’insegnamento.

Il “copiare”, di per sé, non è peccato, quasi un aspetto sostanziale di ogni studio, a iniziare da quelli fondamentali. L’attitudine all’imitazione ci muove a parlare, duplicando i suoni che ascoltiamo; si entra nel proprio sesso prendendo i genitori come modelli; si scopiazzano i contemporanei, gli amici, i maestri, le persone famose, i belli, i potenti. Addirittura diciamo pure che qualsiasi vita è tutta un copiare. La moda è uno delle prove più evidenti del fatto che somigliare agli altri intimamente ci consola, ci rasserena, ci dice chi siamo. Anche una delle mode più assurde della storia, cara e bizzarra, come la parrucca a boccoloni che imperversò in Occidente tra la seconda metà del Seicento e il Settecento, eliminata via solo dalla Rivoluzione, diede il via a un contagio di copiature: i ricchi, i nobili, i borghesi la vestivano, perciò si doveva indossare per non sentirsi esclusi. Senza sorvolare le parole: durante un decennio tutti hanno detto “cioè”, “nella misura in cui” e “colf”; in quello susseguente hanno imperversato “lo zoccolo duro” e “l’attimino”, per planare attualmente in un orizzonte fatto di “ciaone” e di “piuttosto che”, in un senso che fa rabbrividire la pelle ai grammatici. In fondo essere imitati per come ci si veste, ci si muove o si parla, perfino male, è affascinante, e tutti siamo allineati ad accettarlo; come sostiene un’antica sentenza greca, non è felice l’uomo che nessuninvidia, ed è almeno presumibile che in una qualsivoglia imitazione, congiuntamente all’invidia, ci sia, ben mescolata, anche l'adorazione. Insomma, si tratti dell’istinto inferiore che ci porta a tagliarci tutti i capelli, o ad accorciare le gonne, a tatuarci e a infilarci un piercing nel naso, essere simili agli altri ci dà l’emozione di ancorarci a un terreno più solido di quello puramente personale.   Scuola Privata Milano

Sussiste sicuramente un copiare che la stessa società, la quale acconsente la divulgazione di comuni modelli di condotta, anche filologico, e, abbastanza spesso, sopprime chi se ne discosta, non può accettare, pena la sua stessa crisi interna e il venir meno dei fondamenti: il copiare il frutto dell’intelletto. Implicitamente si decreta in tal modo che quel che si può circoscrivere a largo raggio spirituale è superiore quel che è fisico o materiale. Come dire: non si potrà denaturare o riprodurre una marca o un disegno, ma il modo in cui, le parti materiali di un oggetto, che piace, o di un abito, è messo insieme, il loro stile, i loro colori, sono apertamente imitabili. È il modello che si considera, giustamente, tabù, e fingere che quel che si scrive, si dice, si dipinge, si mette in musica sia conseguenza dell’individuale intelletto, e non farina del zaino altrui, è calcolato odioso, turpe, disonesto, capace di far zompare equilibri e quella minima giustizia che, con tutti i limiti, si cerca di detenere in ogni ambito. Tant’è vero che il plagio è un illecito penale, benché, anche in questo caso, ci si muova in mezzo a una palude di “se” e “però”.

Comunque, quando si tratta del copiare a scuola, di controversie non ce ne sono: si tratta senz’altro di una colpa, perché ostruisce di discernere il vero merito di ciascuno, mescola le acque, manometti i valori e, di conclusione, pregiudica l’intera conclusione dell’insegnamento, e anche il suo valore.

In La sorella di Schopenhauer era una Escort ha reso le conseguenze, spesso divertenti, di un perfido copiare, orecchiare, sbirciare, pur di entrare a Wikipedia in classe tramite lo smartphone- ovviamente senza che il prof noti

Copiare perché? Formulando una concreta indagine delle scuse e delle azioni emotive decisive a far sì che spesso durante un compito in classe si tenti il tutto per tutto; ….certo studiare sarebbe stato, senza dubbio, meno faticoso e impegnativo, alla domanda in flagranza di reato “perché mai hai copiato?”, le risposte più frequenti sono:

a) è stata una decisione di necessità; sono sempre stato onesto e sincero, prediligo andare avanti con le mie forze, è che proprio stavolta non l’avevo fatta a studiare, il motorino non funzionava, mia madre ha carbonizzato il pranzo, la mia sorellina ha pianto ininterrottamente per tutto il pomeriggio e anche la lavabiancheria non funzionava

 b) non ho assolutamente copiato; non so che cosa ci facesse quello smartphone nel mio calzino, non l’ho mai visto; e come faccio a sapere, prof, il motivo per cui uno smartphone che non ho mai visto si è infilato nel mio calzino?

c) sono un insicuro, vado dallo psicologo per questo, mi sto curando. Lo smartphone per me è una specie di portafortuna, lo chieda a mia madre, prof, se non mi crede, ma io non l’ho neanche guardato;

d) i miei genitori sono anziani e sono figlio unico; ci tengono così tanto che io vada bene a scuola che non volevo deluderli, ma questa è stata la prima e sarà l’ultima volta, prof.

Sussistono anche casi, di reale insicurezza, di ragazzi che non guadagnerebbero alcun bisogno di copiare dagli altri, invece lo fanno e sbagliano, mentre, se avessero fatto da soli, non avrebbero sbagliato. Senz'altro occorrono nervi saldi – benché Russell abbia scritto che “una sciocchezza rimane una sciocchezza anche se la dicono cinquanta milioni di persone”- per rispettare la propria spiegazione se ci si accorge che il resto della classe è arrivato a un altro risultato. Esitare è naturale; tirare una riga su quanto si è già scritto (di giusto) anche; Rimane l’obbligo etico-morale connesso alla professione di docente a svolgere il tentativo di confermare la volontà di continuare, tentare di resistere, trasmettendo i nostri sensi cercando di non essere sostituiti dalla voglia di non far niente e di usare i motori di ricerca per rimpiazzare ogni cosa.   Scuola Tecnica Paritaria

 


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