6 luglio 2016
Una sperimentazione sul cervello mostra che parlare di se stessi attivi le aree cerebrali avvolte a piacere e compiacimento.
In una chiacchierata che dura dieci minuti, ne passiamo ben sei, in media, a parlare di noi stessi. E la cifra sale a otto quando il dialogo si svolge su una piattaforma di social media come Twitter o Facebook. È chiaramente questione di egocentrismo smodato, o alla base di tutti questi io, io, io c'è qualche ragione più profonda? Se lo sono chiesti gli scienziati dell’Harvard University Social Cognitive and Affective Neuscoscience Lab, individuando che parlare di sé stessi è fisiologicamente soddisfacente, perché attiva le aree neurali del cervello associate al piacere e alla gratificazione. Un meccanismo che funziona, anche se non c'è nessuno ad intendere quello che si dice.
Per indagare il fenomeno, gli scienziati si sono serviti della risonanza magnetica funzionale (fMri), una tecnica di imaging cerebrale che evidenzia i livelli di attività in varie zone del cervello tracciando i cambiamenti nel flusso sanguigno. I ricercatori, in un primo esperimento hanno chiesto a 195 partecipanti di dibattere opinioni e tratti della personalità propri e di altre persone, quindi hanno studiato le riguardanti differenze nell'attività cerebrale. Spiccavano tre regioni neurali: la corteccia mediale prefrontale (il risultato meno sorprendente, perché si tratta della zona generalmente associata ai pensieri legati a se stessi), il nucleus accumbens (Nacc) e l'area tegmentale centrale (Vta). Il Nacc e la Vta sono le regioni cerebrali generalmente associate con i così chiamati meccanismi di ricompensa, le percezioni piacevoli e gli stati motivazionali relativi a stimoli come sesso, cocaina e buon cibo. Stando ai risultati dell'esperimento, dunque, parlare di sé sarebbe circa equivalente, dal punto di vista cerebrale, a mangiare il proprio piatto preferito.
Gli scienziati si sono domandati quanto questo effetto fosse dipendente dal fatto che ci fosse qualcuno ad ascoltare i propri vaneggiamenti egocentrici. Così, hanno chiesto a ciascun membro di portare con sé un amico e un parente e hanno ripetuto l'esperienza, dicendo esplicitamente alle cavie che alcune loro frasi sarebbero rimaste private e altre sarebbero state udite dal compagno. I risultati della risonanza magnetica funzionale hanno mostrato che le aree del piacere si avviavano (anche se in misura minore) anche quando chi parlava, era cosciente del fatto che non ci fosse nessuno all'altro capo della conversazione.
Parlare di se stessi, insomma, è intrinsecamente gratificante.
“Parlare di sé non è in contrasto con le funzioni adattative della comunicazione”, svelare informazioni private agli altri può aumentare i collegamenti interpersonali e assecondare la formazione di nuovi legami sociali, tutti fattori che suggestionano la sopravvivenza fisica e la felicità personale. Parlare dei propri pensieri e della propria percezione, inoltre, può portare a una crescita personale grazie ai feedback esterni che si ricevono. Come altre strutture di comunicazione, è un meccanismo che aumenta le probabilità di sopravvivenza e la qualità della vita”.