25 luglio 2016
In qualsiasi gruppo emerge, in modo più o meno formale, la figura del leader. E quanto più il gruppo aumenta di dimensioni, tanto più tale figura assume importanza: i membri tendono a dialogare meno tra loro e di più con il leader, il quale a sua volta tende a riferirsi al gruppo come a un'unità, piuttosto che a ciascuno dei membri.
La comunicazione nel gruppo ha quindi il suo perno nella figura del leader, il quale a sua volta gestisce la trasmissione delle informazioni.
Il leader è tale in quanto più degli altri membri del gruppo riesce a influenzarne le decisioni, e ciò accade anche qualora il leader non fosse formalmente investito di una particolare autorità.
La capacità di dirigere un gruppo è determinata probabilmente da una serie di qualità, che vanno da un maggiore quoziente intellettivo a una maggiore capacità di intrattenere relazioni sociali a una maggiore fiducia in se stesso, cosa che comporta rapidità e sicurezza nell'assumere decisioni. Possono essere caratteristiche influenti anche qualità fisiche, quali un aspetto gradevole e una maggiore altezza rispetto alla media del gruppo.
In alcuni esperimenti ormai considerati classici e risalenti agli anni Cinquanta, Robert Bales e Philip Slater hanno cercato di comprendere i motivi per i quali certe persone vengono individuate come leader dai membri del gruppo. Istituto Informatico
Gli sperimentatori formarono piccoli gruppi di studenti universitari di sesso maschile. In ogni sessione di lavoro ciascun gruppo era invitato, dopo averne discusso per 40 minuti, a prendere una decisione collettiva rispetto a un certo problema. Al termine dell'incontro, veniva chiesto ai partecipanti di stilare una graduatoria rispetto alle seguenti domande:
- chi ha proposto le idee migliori?
- chi ha cercato di guidare la discussione in modo costruttivo?
- chi è più simpatico?
Dopo alcuni incontri venne posta la domanda conclusiva:
- considerando tutte le sessioni di lavoro, quale membro del gruppo è emerso come leader?
I risultati della ricerca evidenziarono l'esistenza di due diversi tipi di leadership, entrambi presenti nei piccoli gruppi: un leader di tipo strumentale, che propone iniziative e spinge i membri del gruppo a realizzarle, e un leader di tipo espressivo, che riesce a ridurre al minimo i conflitti nel gruppo e a creare solidarietà fra i membri.
Bales e Slater hanno definito questi due tipi di leader rispettivamente “lo specialista delle idee” e “lo specialista della simpatia”.
Si è notato che, in genere, un gruppo appena formato tende a far coincidere i due tipi di leadership nella stessa persona. Ma ben presto, e inevitabilmente, questa persona, che dirige il lavoro del gruppo, perde popolarità e simpatia, ed emerge quindi un altro membro del gruppo, che assume il ruolo di leader espressivo. Si è anche rilevato che i due leader interagiscono più tra loro che con il resto del gruppo, dando così vita a una coalizione implicita: si dividono in sostanza i compiti, essendo l'aspetto strumentale rivolto a un obiettivo esterno, e quello espressivo al benessere emotivo interno, entrambi indispensabili alla vita e al successo del gruppo.
Secondo Margaret Phillips, che ha tentato di generalizzare i risultati ottenuti da Bales e Slater, la duplicità della leadership è essenziale e rappresenta rispettivamente le caratteristiche della “paternità” (il leader strumentale) e della “maternità” (il leader espressivo).
Ciascuno dei due tipi di leader può essere ugualmente uomo o donna, non esiste una differenza vincolante di genere sessuale.
Se si parla invece di stile, diversi sono i modi di esercitare concretamente la leadership a livello strumentale. In genere si distinguono tre stili:
- il leader autoritario, che si limita a dare ordini; Scuola Paritaria Milano
- il leader democratico, che cerca il consenso della maggioranza del gruppo sulle sue
iniziative;
- il leader laissez-faire, che si preoccupa meno di dirigere, ma più di far emergere dal gruppo le iniziative.
Non esiste in astratto una leadership migliore, e tanto meno una leadership buona o una cattiva.
Dipende dalle situazioni culturali, dalle circostanze e dai compiti che il gruppo deve svolgere. Per esempio, se è vero che i leader autoritari sono per lo più meno efficaci di quelli democratici nei paesi dell'Occidente industrializzato, poiché fanno sorgere conflitti che inceppano il funzionamento del gruppo, può essere vero che in culture non democratiche, nelle quali ci si attende come normale una leadership autoritaria, l'atteggiamento democratico del leader paralizzi l'attività del gruppo.
D'altro canto, in situazioni d'emergenza un leader autoritario può risultare più efficace, poiché in tali situazioni conta molto la rapidità di decisione. Perciò, la leadership nell'esercito, e in genere nelle strutture di pronto intervento, è tipicamente autoritaria.
Come funziona la comunicazione nella struttura del gruppo?
Nei piccoli gruppi, ma per altri aspetti anche in quelli di grandi dimensioni, l'efficacia del potere decisionale si intreccia sia con la gestione delle comunicazioni interne, sia con la ripartizione dei ruoli. Istituto Tecnico Tecnologico
Harold Leavitt, studiando le direzioni dei flussi di informazione nei piccoli gruppi e gli effetti che questi flussi esercitano sulle decisioni, ha constatato che alcuni modelli di comunicazione sono più efficaci di altri. Un gruppo di cinque persone può attivare, secondo i risultati di queste ricerche,
differenti tipi di modelli di circolazione dei messaggi, tra i quali i due diametralmente opposti sono il cerchio e la ruota.
Nel modello a cerchio nessun membro del gruppo prevale e la comunicazione si trasmette dall'uno all'altro circolarmente. È il metodo di trasmissione che garantisce meno
l'efficienza del gruppo. Al contrario, nella struttura a ruota, dove il leader si configura come il mozzo di una ruota i cui raggi sono le linee di comunicazione, i membri non comunicano tra loro, ma ciascuno di essi comunica con il leader. Pare sia questo il modo che permette maggiore efficienza. Si deve sempre comunque tenere presente che il modello di comunicazione più efficace varia a seconda delle caratteristiche del gruppo e del problema da risolvere. In ogni caso, si è costantemente notato che le persone che si trovano più coinvolte dai processi interni di comunicazione tendono a essere più soddisfatte e a mantenere più alto il proprio livello di partecipazione al gruppo rispetto a quelle che rimangono ai margini.
Quando i problemi che il gruppo deve risolvere sono a soluzione obbligata, cioè hanno una sola soluzione esatta, il contributo di tutti i membri al processo di decisione migliora la probabilità di risolvere il problema, in particolare quando la ricerca della soluzione richiede competenze diversificate. Quando però i problemi da risolvere sono a soluzione libera, non hanno cioè una soluzione esatta e verificabile immediatamente, allora la decisione presa in comune può anche essere peggiore di quella presa in autonomia dal leader. In ogni caso, qualunque sia il meccanismo del processo decisionale, pare che spesso i gruppi siano disposti ad assumere decisioni più rischiose di quanto i loro membri sarebbero individualmente disposti ad accettare. Ciò avviene forse perché nel gruppo si determina, inconsapevolmente, una ripartizione di responsabilità, la qual cosa consente a ciascun membro di diminuire il senso di colpa che normalmente segue una decisione errata.
Spesso le decisioni di gruppo avvengono dopo dibattiti, antagonismi e lacerazioni interne tra i membri. Dopo aver raccolto e analizzato e valutato i dati relativi al problema da risolvere, il gruppo deve compiere una scelta. In questo momento si formano per lo più delle coalizioni e la maggioranza impone la sua opinione su una o più minoranze. Ciò può provocare tensioni e difficoltà; pertanto, a questo stadio del processo decisionale spesso ne segue un altro che corrisponde a uno sforzo generale teso a recuperare l'armonia e la solidarietà del gruppo.