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"Il pensiero di Zygmunt Bauman in 5 punti"- Istituto Tecnico Tecnologico Freud

29 aprile 2017

Il pensiero di Zygmunt Bauman in 5 punti

Dal pensiero di attualità liquida a quello d’indignazione passando per l’etica del lavoro e l’estetica del consumo, le lezioni che ci lascia il sociologo polacco

È stato forse il pensatore – filosofo o sociologo, poco importa in questo senso – che ha meglio compreso il caos che ci circonda e il disorientamento che viviamo. La situazione di passaggio, prolungata e inquietante, in cui siamo immersi. Particolarmente con la fortunata serie di saggi, da Modernità liquida del 2000 in poi, che lo hanno tramutato in una superstar del pensiero sulla postmodernità, esaminata un territorio incerto costellato da un esercito di consumatori che fanno di tutto per assomigliarsi l’uno con l’altro. Zygmunt Bauman è morto il 9 gennaio a Leeds a 91 anni; Le sue lezioni, in particolare quelle seguente alla sua fase accademica raccolta sulla sociologia del lavoro, rimarranno strumenti solidi – più che liquidi – per capire la strada che abbiamo di fronte. E come sta cambiando pelle la società che dovrà percorrerla.

1. La modernità liquida Scuola Tecnica Freud

Pensiero fra i più noti del sociologo nato a Poznan da genitori ebrei. Naturale da comprendere, nei suoi confini di massima: con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso abbiamo oltrepassato una fase che quelle certezze del passato in ogni ambito, dal welfare alla politica, le ha smontate e in qualche modo demistificate mescolandole a pulsioni nichilistiche.

La conclusione, che iniziamo a intravedere sull’onda lunga di quel periodo, è appunto un presente senza nome caratterizzato da diversi elementi: la crisi dello Stato di fronte alle azioni della globalizzazione, quella consequenziale delle ideologie e dei partiti, la lontananza del singolo da una comunità che lo rassicuri.

La sua comunità è divenuta il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo senza una missione comune. Concetti ripresi e approfonditi in testi come Amore liquido (2003) o Vita liquida (2005).

2. L’indignazione

La fase che viviamo è propizia ai populismi e in particolare all’indignazione. In generale, a stimoli contrastanti che viaggiano in direzioni complesse ma senza progetti, con la sola consapevolezza di ciò che non vogliono. Per Bauman, dopo la modernità costruita sul meccanismo del ritardo della gratificazione, stiamo insomma vivendo una sorta di interregno gramsciano. Una classe da molti recuperata per descrivere i tempi che stiamo affrontando, quando “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Un interregno oltretutto ricco e affogato nell’informazione nel quale mancano non solo soluzioni univoche ma anche gli agenti sociali in grado di metterle in atto. Da Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito è contestato e diroccato ma allo stesso tempo fatica a difendersi. Potrebbe farlo solo accogliendo risposte che sposino in parte le domande di queste azioni, a loro volta poco chiara.

3. L’etica del lavoro ed estetica del consumo

Frutto di quella procrastinazione – investire anziché distribuire, risparmiare o spendere; lavorare anziché consumare – è in fondo lo stesso sviluppo della società moderna. Basato su un’attesa – quel ritardo della gratificazione – che ha finito per produrre due tendenze in radicale opposizione: da una parte una società fondata sull’etica del lavoro. Quella in cui mezzi e fini s’invertì finendo per premiare il lavoro fine a se stesso, estendendo il ritardo all’infinito e tuttavia rispettando una volontà di cercare nuovamente modelli e regole al vivere comune.

Dall’altra l’estetica del consumo, che per dialogo vedeva il lavoro come mero strumento utile a preparare il terreno per altro. Quest’ultimo concetto ha subìto oggi un’estremizzazione che ha condotto alla sua negazione: ritardo non c’è e non può esserci, attesa neanche. Questo secondo modello, quello che viviamo – d’impostazione aristotelica per opposizione al platonismo dell’altro – trasforma, infatti, il mondo in un “immenso campo di possibilità, di emozioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso imboniti dal venditore di turno, alla sola ricerca di Erlebnisse, esperienze vissute. L'esacerbazione della soggettività, che trova per giunta incredibili attuazioni nelle tecnologie in cantiere come la realtà virtuale, si piega alla tirannia dell’effimero.

4. L’analisi dell’Olocausto

La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema evidentemente enorme per chiunque, pachidermico per un sociologo ebreo che grazie alla fuga della famiglia in Russia nel 1939 avevano evitato le conseguenze dirette della Shoah. Magistrale il ponte che costruisce fra l’oppressione degli ebrei le dinamiche della modernità, individuandoli come elementi di destabilizzazione dell’ordine, finanza contro terra. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in risultato della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed che cercano l’efficienza a cui subordinare pensiero e azione. La Shoah come parto della scienza tecnologica e della burocrazia, per la quale l’antisemitismo è stato ragione necessaria ma non soddisfacente. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà. Milano Paritario Freud

5. Post-panopticismo

In una visuale futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscita un paio di anni fa e scritto con David Lyon – ci apre gli occhi verso un orientamento del tutto diverso alle strutture di potere, che oltrepassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Cioè un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dello svago e dunque del consumo. In cui sotto l’attenzione delle programmazioni transnazionali finiscono i dati e non le persone, o meglio le loro emanazioni digitali. E in cui i rischi più elevati – più che per la privacy – sono per la libertà di azione e di scelta.

La novità è che questo spazio del controllo ha perso i muri. E a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, perché le “vittime” contribuiscono e coadiuvano al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto poliziesco nascosto sotto il quel seduttivo. Non c’è più un luogo – che sia la scuola, il carcere o la fabbrica – dove concentrarci per controllarci, se non quelli residuali come il carcere o il campo profughi. Turismo Tecnico Paritario Freud


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