24 agosto 2017
Sempre più abituati alla violenza visiva, oggi siamo esposti a immagini cruente, che parlano di morte e violenza. Scuola Tecnologico Informatico Freud
Eppure questa fascinazione verso l’orrore ha nascite lontane. Basti pensare alle raccolte di teste mozze esposte nei musei o alle celebri decollazioni della storia dell’arte. Una famosa conduttrice della CNN, Kathy Griffin, è stata licenziata il 31 maggio 2017 per aver mostrato una finta testa mozza sporca di sangue che somigliava a Trump. L'effetto visivo è forte. Lo schermo si trasforma in un patibolo pubblico. Dai carnefici dell’Inquisizione ai conduttori televisivi d’oggi si traccia una medesima fascinazione del male. Nel 2004 dei Marines giocavano con le teste mozze di afghani e si facevano superbamente fotografare inviando le foto alle fidanzate. Oggi siamo invasi dalle teste mozze di Isis, che diventano un medium di massa, come comprova il caso della conduttrice. Il piacere pornografico della vendetta rimpiazza la pietà che poteva ispirare lo spettacolo del condannato a morte. Nel 1944 la rivista americana Life pubblica la foto di una giovane mentre scrive una lettera di ringraziamento al suo fidanzato in marina per averle spedito il teschio di un giapponese. Ma il record è di Horacio Robley, collezionista di teste maori: una foto del 1895 lo ritrae a fianco di trentaquattro teste mozze. Per lui era un “dovere professionale”. Le teste, una volta “prodotte”, erano esportate nei musei di antropologia. Nel solo Regno Unito sono conservate oltre 100mila teste. Al Museo Pitt Rivers dell’Università di Oxford, le teste mozze sono l’oggetto più ricercato, soprattutto dai bambini. Qui il confine tra abiezione e collezione è abolito.
“Dismisura per esagerazione, oggi l'abitudine allo choc delle immagini ha la crudeltà dei seviziatori, l’arroganza del boia. E il ricorso all’arte, impiegata come spettacolo profano del terrore, non è che il risvolto omeopatico di un male che pare incurabile: l’irresistibile attrazione per l’orrore”. Istituto Turismo Economico Freud
Nel 1981 il sedicenne Damien Hirst non resistette al desiderio di farsi fotografare accanto a una testa mozza all’obitorio di Leeds, nel 2007 farà un salatissimo teschio tempestato di diamanti. Qui Baudelaire è preso alla lettera: “L’omicidio è il gioiello più prezioso della bellezza”. D’altra parte, le immagini delle teste mozze del Battista o della Gorgone dopo il Rinascimento sono state fra le più battute, in queste teste Freud lesse un sostituto simbolico della castrazione. Géricault pagava i becchini per disegnare le teste ghigliottinate. Sovrabbondano gli esempi storici e iconografici di distruzione simbolico e reale. In nome della scienza, della religione, della “libertà” e dell’arte, le teste mozze hanno imprigionato la fantasia degli occidentali. L’arte continua lo spettacolo della vendetta e l’ossessione della paura con altri mezzi. Dismisura per smoderatezza, oggi l’assuefazione allo choc delle immagini ha la ferocia dei seviziatori, la prepotenza del boia. E il ricorso all’arte, impiegata come spettacolo liturgico del terrore, non è che il seguito omeopatico di un male che pare incurabile: l’irresistibile attrazione per l’orrore. Oggi lo spettro del terrorismo costringe l’Occidente a terrorizzarsi da solo – il caso dei 1.500 tifosi che si feriscono “da soli” a Torino è esemplare. Se la testa mozza è il passaggio all’atto della vendetta, il panico sarà il passaggio all’atto dell’angoscia. Scuola Privata Informatica Milano