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LA MUSICA FA BENE, PERCHÈ? ISTITUTO TECNICO INFORMATICO S. FREUD

17 maggio 2016

La partecipazione ad attività musicali aumenta la capacità di riconoscere schemi.

Gli esiti benefici della musica sul nostro organismo non sono un mistero. Negli ultimi anni si sono incrementati gli studi che rivelano come la musica sia in grado di ottimizzare le capacità cognitive delle persone, anche oltre l’ambito strettamente musicale. Frequentare corsi di musica ha conseguenze positive sul rendimento scolastico nei ragazzi, mentre l’aver suonato uno strumento, anche da piccoli, migliora le capacità uditive fino all’età adulta. Ma non solo. Uno studio appena pubblicato su Pnas ha invece analizzato gli effetti della musica su bambini di appena 9 mesi, e suggerisce come l’ascolto già da piccolissimi aiuti lo sviluppo del linguaggio.

Nel corso dello studio i bambini (39 in tutto) sono stati suddivisi in due gruppi. Tutti hanno partecipato a 12 sessioni di gioco da 15 minuti, nell’arco di un mese, in compagnia dei propri genitori. Ogni bambino è stato impegnato in un’attività sociale, che coinvolgesse l’uso del corpo, ma con una differenza tra i due gruppi: 19 bimbi, appartenenti a quello di controllo, hanno giocato con costruzioni, macchinine ed una serie di altri oggetti; agli altri 20, invece, è stata fatta ascoltare della musica, e l’attività constava nel battere il tempo. E’ stata scelta musica in ritmo ternario (quello tipico del valzer, ad esempio), perché ritenuta più difficile da imparare per i bambini.

A una settimana dal termine dell’esperimento, i bambini sono stati sottoposti a magnetoencefalografia, una pratica utilizzata per la misurazione dell’attività elettromagnetica del cervello. In particolare, questa tecnica ha esaminato due regioni del cervello, la corteccia uditiva e la corteccia prefrontale, importante per diverse abilità cognitive. Durante le sessioni, ai bambini sono stati fatti ascoltare dei suoni ritmici, che venivano di tanto in tanti interrotti. Non solo: sono stati impiegati anche frammenti di discorsi, sempre con una cadenza ritmica e delle interruzioni. L’idea, spiegano gli scienziati, era di mostrare nel cervello dei piccoli delle risposte che potessero indicare la capacità di rivelare queste interruzioni.

Come ipotizzato dai ricercatori, i bambini del gruppo musicale hanno mostrato risposte neurali più marcate rispetto ai bambini del gruppo di controllo. Questo vale sia per l’ascolto della musica che del parlato e in entrambe le regioni cerebrali analizzate. Risultati che, secondo i ricercatori, indicano che la vivacità musicale migliora il riconoscimento degli schemi sonori, anche quelli del linguaggio.

Per Christina Zhao, una delle ricercatrici coinvolte, quanto osservato ha permesso di capire qualcosa in più su come i bambini imparino il linguaggio parlato, dall’altra ha aggiunto un tassello nella comprensione di come il cervello elabori musica e linguaggio in modo somigliante.

 


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