9 marzo 2016
Spesso ha il suo esordio in età infantile e può essere molto precoce, manifestandosi già negli anni della scuola materna. Scambiato per vivacità, espone il bambino a un percorso di crescita disarmonico e disfunzionale, con effetti e conseguenze che possono essere invalidanti e pericolose, sempre di più, col passare del tempo. Perché non si tratta di vivacità.
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI) presenta sintomi ben riconoscibili, cui genitori e insegnanti devono prestare un’attenzione specifica.
Il soggetto, rispetto ai coetanei, denota un’ingente difficoltà nel rimanere attento, concentrato. Come lo si può capire? Il ragazzo incontra una grande difficoltà quando deve lavorare per un certo periodo di tempo su uno stesso compito. Egli, inoltre, non riesce a mettere in pratica le indicazioni che gli sono state date per eseguire il compito: l’impressione che se ne trae dall’esterno è quella – erronea – di un allievo svogliato e disinteressato, che volontariamente ignora l’autorità dell’adulto.
Un altro indicatore che può suggerire la presenza di questo disturbo in un ragazzo è la sua disorganizzazione: non si tratta di disordine o di superficialità, ma di un modus operandi inefficace, come se il ragazzo fosse semplicemente sbadato; invece si tratta di una conseguenza diretta della sua incapacità a fissare l’attenzione. È sufficiente un minimo gesto, compiuto magari da un compagno, del tutto contingente e occasionale, perché il nostro soggetto si distragga. Non è escluso che il ragazzo affetto da questo disturbo offra, a chi lo vede, uno sguardo perso nel vuoto, o privo di riferimenti, che cerca – senza trovarlo – un qualcosa di non identificabile dall’esterno, nell’ambiente circostante.
Il soggetto, poi, può apparire nervoso e incostante: inizia un’attività (non esclusivamente didattica, può essere anche ludica), ma all’improvviso ne intraprende un’altra.
Di solito, il soggetto ha una loquacità particolarmente sviluppata: parla molto, in modo non sempre contestualizzato – anzi, spesso interrompe chi ha già la parola e lo fa a sproposito - e con un tono di voce elevato.
Risulta molto difficile per questo soggetto partecipare a un’attività di gruppo: fatica a rispettare gli spazi altrui, i turni, le consegne.
La sua postura è indice stesso del disturbo e delle sue caratteristiche: il ragazzo tradisce il proprio disagio a restare fermo. Appare inquieto, agitato.
Nel concreto, quali abilità e attività vengono ad essere maggiormente compromesse? Il soggetto rivela scarsa capacità di problem solving, non è adeguatamente in grado di pianificare un progetto, il suo grado di allerta è instabile, come il livello di attenzione.
Studi epidemiologici indicano che questo disturbo affligge il 3-7% dei bambini in età scolare e il 4-5% degli adolescenti e dei giovani adulti. L’incidenza è più elevata fra soggetti di sesso maschile. Due terzi dei bambini affetti da DDAI mostrano sintomi della patologia ancora in età successive.
Il DDAI, contrariamente a quanto si riteneva in passato, non è un disturbo che resta confinato all’età della prepubertà, al contrario, tende a cronicizzarsi, con manifestazioni sempre più intense, tanto che la mancanza di un trattamento precoce espone al rischio – quando il soggetto è ormai in età adolescenziale o è già un giovane adulto - di condotte antisociali, di abuso di sostanze, di difficoltà interpersonali ed educative.
Prof.ssa Daniela Ferro
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