16 aprile 2016
Emozioni, relazioni e studio nell’era digitale
L’era digitale nel passato
In altre parole come nella storia della psicologia umana si colloca, l’era digitale. Non parliamo di nuove tecnologie, semplicemente perché queste non sono tali specie per i ragazzi di oggi; piuttosto di tecnologie, di come e se sono cambiati gli stili di apprendimento, comunicazione e socializzazione tra i giovani; in primis Facebook e i timori che suscitano: ci sono sempre pregiudizi verso giovani e tecnologie; non mi piace che si tenda a creare una cultura della paura. I cambiamenti cognitivi avvenuti soprattutto nei bambini sono molto legati anche ai pericoli, ma non va demonizzato il mezzo; è vero piuttosto che lo usiamo male.
Un confronto
Si pensi alle diversità tra un bambino nato oggi e uno nato 50-60 anni fa; il cervello di questi due bambini è diverso nello sviluppo, perché è qui che sono mutate le cose, ma il nativo digitale è ancora un homo sapiens. Un bambino di 3 anni, 50 anni fa, era attratto da alcuni rumori, ad esempio le pentole adoperate dalla mamma in cucina; oggi viene più attratto dalla tv, perché il cervello umano è attratto dallo stimolo più coinvolgente e interessante. Ancora: 40-50 anni fa nonni e genitori raccontavano ai bambini delle fiabe; oggi, solo l’8% del mondo degli educatori lo fa. Il bambino di allora ascoltava, sviluppava la propria capacità di ascolto, di gestione delle emozioni e della paura, un’immaginazione creativa, ma anche l’attesa, la gestione del tempo; oggi un bambino di 6 anni non ascolta fiabe, tuttavia, seguendo la TV o internet, alcune capacità cognitive non si sviluppano, ma altre sì: la memoria, la ricerca viso-spaziale e altre funzioni… Così, all’ingresso a scuola, se un bambino di 50 anni fa, nell’accostarsi a un maestro era abituato a sentire un adulto parlare; oggi, non essendoci più questa consuetudine, un ragazzino entra a scuola per trovarvi un insegnante che gli parla per 6 ore, senza che possa “spegnerlo” o “cambiare canale”, cosa che però rientra nello stile cognitivo del bambino! Tanti insegnanti, perciò, dicono che i bambini sono iperattivi, ma non è così. E nella didattica dell’era digitale si pone una sfida molto importante per gli insegnanti. Un altro esempio: a 10,11, 12 anni, alle scuole medie, nella preadolescenza, i ragazzi si avvicinano ad alcune tematiche: sessualità, amore, emozioni. Un tempo, magari all’oratorio, un ragazzino poteva incontrare qualcuno da cui rimaneva colpito, provava a parlarci, cercava di instaurare una relazione ed era faticoso. Oggi c’è uno mezzo come facebook (ovvero “catalogo”) per cui è assai facile “sfogliare” il catalogo e vedere che fa un ragazzo: viene meno la mediazione data dal tempo, ma anche il contatto alla sessualità:
Basta scrivere una parola “come” ad esempio “pera” su Google e vi troverete il mondo! L’accesso alla sessualità è assai più facile per non dire della scuola. Per scrivere la tesi, avrete dovuto prendere un treno, andare per biblioteche, scrivere; oggi tutto ciò non serve più, c’è tutto in internet, lo sforzo viene meno e si passa al più facile “copia e incolla”. Baumann sostiene che il problema non è tanto la società liquida ma orientarsi davanti a questa mole d’informazioni: la scuola deve appunto aiutare a orientare.
Ascolto e attenzione
Questi sono cambiamenti evidenti, che nascondono una modificazione cognitiva molto rilevante: la generazione di oggi è meno preparata all’ascolto e al confronto, all’esame orale i ragazzi vanno molto in difficoltà, sono più orientati a scriversi piuttosto che a parlare, passano ore su social networks, giochi on line, ecc. Per giunta, nella loro scrittura ordinaria internet e gli SMS hanno portato le abbreviazioni, ma hanno modificato anche la struttura logica del testo. Tuttavia, la loro capacità di orientarsi nello spazio digitale è immenso rispetto alla nostra, hanno sviluppato un’abilità di learning by doing e sono abilissimi nel multitasking, che non dobbiamo temere. Il ragazzino che oggi studia ascoltando l’I-pod, si concentra egualmente, cosa che è molto indagata dagli neuro scienziati, perché l’attenzione è un’abilità cognitiva importante e le ricerche ci dicono che il multitasking non implica limitata attenzione, anche se questo va insegnato e moderato. Per questo, ci sono tre scelte:
Negare il digitale a scuola.
Trasferire tutta la didattica nella tecnologia.
Integrazione.
L’approccio dev’essere integrativo, non possiamo cioè chiedere ai ragazzi di non fare cose che vivono nella loro quotidianità. In quanto all’equilibrio – uno psicologo americano parla di approccio ecologico alla tecnologia –, la scuola ha una mission educativa per cui deve accrescere tutte le attività cognitive dei ragazzi. C’è poi il pensiero delle emozioni: i ragazzi di oggi non vedono nell’insegnante una figura autoritaria-autorevole come un tempo, né la famiglia vi collabora. Un tempo la didattica si fondava sulla trasmissione orale, la comunicazione del sapere era diretta. Se il ragazzino capisce che, dal punto di vista cognitivo, il concetto di autorità sta nella rete non posso lottare arrabbiandomi con lui, ma devo iniziare a far capire che quanto si trova in internet può essere sbagliato e che la rete non è uno strumento ma un ambiente, una struttura generata da infinità di connessioni virtuali, mentre la memoria lo è. Se facciamo nostre queste consapevolezze, se capiamo che internet è un ambiente, il passo successivo è far capire che bisogna introdurvi delle regole; tuttavia, le ricerche ci dicono che non si fa questo ragionamento nell’ambiente internet.
Mentre un tempo, un’intera rete sociale, magari anche sbagliando modo, sosteneva una persona anoressica dicendogli che l’anoressia andava combattuta, oggi in internet quella stessa persona troverà centinaia di migliaia di soggetti come lui che sosterranno che a sbagliare sono gli altri: è drammatico, ma dal punto di vista cognitivo ha ragione lui. Quanto manca oggi, è il trasferimento del valore del rapporto. Quelli che facebook chiama “friends” non lo sono, sono contatti; ciò che chiama conoscenza su internet non lo è, è informazione … il problema non è facebook ma come si utilizza e il fatto che nessuno educhi i ragazzi contrassegnati da stili cognitivi e di apprendimento tanto diversi dai nostri. Non lo facciamo perché nessuno lo ha fatto con noi, manca modello educativo di riferimento.
Identità e senso critico
La costruzione della personalità è sempre in cammino ma oggi ne ha anche una digitale, che non va contrapposta a quella concreta. Il fatto è che l’identità digitale non è costruita solo da noi, ma anche da quello che gli altri dicono di noi, così che gli altri si fanno un’idea di noi senza conoscerci. Anche nella didattica c’è una variazione: al manuale si contrappongono i materiali che troviamo in rete – l’archivio storico di un quotidiano, ad esempio – che incidono sulla percezione della verità. Oggi si lancia senza riguardi una notizia apparsa in facebook e questa diviene vera, nessuno ne verifica la fondatezza. Questo perché manca il senso critico. In realtà internet ha diffuso a un grande senso critico, con la messa in rete di milioni di documenti, e questo è un paradosso storico. All’insegnante oggi spetta principalmente favorire lo sviluppo del senso critico, interessa sviluppare le competenze per arrivare al contenuto, per orientarsi nella mole d’informazioni che si trovano nella rete. Un altro problema è quello concernente la memoria: o piuttosto alle capacità di attenzione, perché la prima è legata alla seconda. Se la mia attenzione si disperde, la mia memorizzazione scarseggia; per lavorare su questa, occorre far ricorso alle emozioni. Per far sì che non si usi il cellulare in classe, basta ricorrere a un esempio per far capire che quando questo avvenga, l’insegnante ci rimane male, come un amico che non ci ascolta perché sta contemporaneamente utilizzando il telefonino.