1 aprile 2016
L’adolescenza è essenzialmente un percorso di autonomia. Un affrancamento dal controllo parentale che può essere a volte difficile ma comunque entusiasmante e soprattutto vitale, necessario. Questo non vuol dire che gli adulti non abbiano un compito decisivo nell’assecondare il processo di crescita, cercando di correggere il tiro quando il ragazzo rischia di scivolare su un terreno troppo pericoloso. Proprio partendo da questo presupposto, il discorso sul ruolo dei genitori e su quello degli insegnanti (o della Scuola intesa come istituzione, nel suo senso più nobile) deve muovere dalla premessa di un obiettivo comune. Di un’educazione alla vita che non può essere impostata a compartimenti stagni, e al contrario va costruita sulla collaborazione e sull’identità di ideali. Il progetto deve insomma essere comune, e portato avanti come tale.
La famiglia: in equilibrio tra protezione e libertà
Innanzitutto va considerato un dato oggettivo: la permanenza sempre più lunga dei giovani(soprattutto quelli dell’Europa meridionale: Italia, Spagna, Portogallo) all’interno della famiglia.
Attualmente in Italia oltre il 60% della fascia 25-29 anni – quindi ben oltre la fine dell’a dolescenza – vive ancora con i genitori. Questo per un intreccio di fattori culturali (nei paesi scandinavi i dati sono diversi e i figli sono abituati precocemente a modelli di socializzazione più autonoma e acquisitiva) ma anche economici, sociologici, religiosi. A maggior ragione dunque è importante che l’ambiente familiare sia ospitale e vissuto positivamente anche nei suoi rapporti interni: che sia cioè un contesto in cui è possibile sviluppare la propria autonomia.
E infatti dal già citato rapporto Eurispes-Telefono Azzurro emerge che i genitori italiani del terzo millennio risultano essere abbastanza permissivi e capaci di lasciare che i figli vivano le loro esperienze. I ragazzi tra i 12 e i 19 anni dichiarano però, per esempio, di avere poca voce in capitolo quando si tratta delle scelte scolastiche. E una forte ambivalenza è caratteristica, sottolineano i sociologi, della cultura puerocentrica tipica dell’Italia, per cui il bambino e poi l’adolescente devono dibattersi tra gli atteggiamenti di genitori ultraprotettivi e nello stesso permissivi, che concentrano sui figli (spesso unici) i loro investimenti emotivi ed economici – da un sondaggio europeo di Tns, pubblicato dall’Espresso, i teenager italiani sono risultati essere i più viziati del continente – ma anche le loro ansie e le loro pressanti aspettative. Viceversa è importante che gli adulti siano attenti a non alzare, magari inconsapevolmente, delle barriere per trattenere i figli in una sfera ristretta di protezione che alla lunga risulterebbe deleteria. Perché i comportamenti repressivi servono solo ad aumentare le eventuali difficoltà. Vivere invece i conflitti come una fase necessaria e dialettica – bilanciando la prospettiva della protezione e del rigore con quella del diritto alla libertà – è l’unico modo per concedere poco alla volta ai ragazzi il controllo della loro vita, in funzione del grado di autonomia che hanno via via conquistato.
La scuola: educare al senso critico
Dalla stessa impostazione deve muovere il progetto educativo del sistema scuola, che spesso si rivela, soprattutto in Italia, autoreferenziale e per nulla in grado di supportare l’e mancipazione dell’adolescente. Anche perché il primo dato di fatto con cui la scuola deve confrontarsi è l’incertezza che caratterizza l’atteggiamento delle nuove generazioni riguardo al futuro.
I ragazzi di oggi ritengono arduo raggiungere determinati obiettivi “tradizionali” come una laurea (il 33,6% è sfiduciato riguardo al fatto di conseguirla), un lavoro stabile (più del 49% ci crede poco) e uno che piaccia (e qui si scende a 43%).
Queste sono insomma, come è stato detto, le prime generazioni a cui viene preannunciato un futuro socio-economico peggiore di quello che hanno avuto i loro genitori. E infatti un altro dato di cui la scuola deve tener conto è che i ragazzi oggi sognano in piccolo, vogliono assomigliare a personaggi dello spettacolo e dello sport e sono pochi quelli che ambiscono a ruoli edificanti o realmente incisivi. Siamo insomma in una fase di crisi così profonda da coinvolgere non solo la realtà attuale, ma i valori e le aspettative riguardo al futuro. Ed ecco perché, più che mai, è importante che la scuola si proponga come occasione di arricchimento, adattandosi essa stessa alle trasformazioni della società e alle nuove esigenze formative.
Ciò significa per esempio favorire l’apertura mentale dei ragazzi, agevolare il dialogo, la critica all’omologazione. In questo modo fornirà loro non solo nozioni, ma validi criteri per interpretare l’esistenza.
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